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violenza psicologica

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micia gatta
icon3  view post Posted on 18/10/2010, 20:02     +1   -1




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martedì
mag192009
Violenza psicologica e maltrattamenti in famiglia: cosa fare?
Datemar, maggio 19 Authorpiattini cinesi in Categoryproblematiche

A cura di Silvia di Genitori Crescono, avv. penalista ed esperta di diritto di famiglia

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Quando si parla di violenza su donne e minori di solito si pensa alla violenza fisica, quella delle mani addosso, quella dello stupro ad opera dello sconosciuto o di colui che è fin troppo conosciuto, quella delle botte ai bambini e quella delle donne che al pronto soccorso dicono al medico di essere inciampate sulle scale.


Ma cos’altro è violenza? Quali sono le altre forme più subdole e striscianti di pressione, di privazione di occasioni e di un futuro, di castrazione psicologica, che si offrono ai bambini e alle bambine, poi uomini e donne?

La violenza psicologica familiare, quella di cui ci parla il filmato da cui è partita la mia riflessione, è un comportamento più diffuso di quello che si pensi.

Parte dall’infanzia, dal rapporto con i genitori, dalla famiglia d’origine e poi si evolve verso rapporti affettivi che tendono a riprodurre quei meccanismi violenti. Dove l’amor proprio, l’autostima e la capacità di autodifesa, muoiono da piccoli, sotto i colpi delle liti tra genitori liberamente sfogate davanti ai bambini, sotto i colpi di genitori sconfitti che non sanno far altro che deprimere i figli per non sentirsi perdenti, sotto i colpi di un padre o di una madre che insultano senza freni l’altro genitore, sotto i colpi delle depressioni e delle dipendenze, la ricostruzione della propria persona diventa spesso un’impresa impossibile.

Quando si riconoscono segnali e sofferenze di questo tipo è giusto e sano tutelarsi e tutelare i propri figli.

Il nostro diritto penale prevede il reato di “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, che è così definito dall’articolo 572 del codice penale: “Chiunque, (...) maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.

La pena è aggravata se dal fatto derivano lesioni personali o la morte.

Come si può facilmente dedurre la definizione del reato nasce in un’altra epoca storica, ed è particolarmente orientata al maltrattamento come violenza fisica. La formulazione generica delle norme, però, è in molti casi da considerarsi un vantaggio, perchè permette di adeguarle ai tempi e all’evoluzione della società.

Oggi, grazie alle migliaia di sentenze in merito, il concetto di “maltrattare una persona della famiglia” si è evoluto in più direzioni.


Innanzi tutto comprende senza dubbio il maltrattamento morale, psicologico, la vessazione, la causazione di sofferenze non fisiche.

Costituisce maltrattamento, per fare degli esempi, far assistere un bambino alle liti violente dei genitori; insultare costantemente una donna, anche in presenza dei figli; costringere un bambino a parteggiare per uno dei genitori; ma anche ignorare un bambino, disinteressarsene, abbandonarlo moralmente.


I comportamenti di questo tipo integrano il reato quando sono protratti, abituali, costanti.

Quindi non si parla di fatti episodici, che potranno ricevere tutela da parte di altre norme, ma di un’abitudine familiare, di un clima, di uno stato costante di vessazione, di un disagio prolungato nel tempo.

Si parla dell'esistenza di un vero e proprio sistema di vita di relazione familiare abitualmente doloroso ed avvilente provocato proprio con intento persecutorio.


Per capirci, una lite familiare, anche violenta, con insulti pesanti, non può da sola configurare il reato di maltrattamento, che è essenzialmente un’altra cosa: è una soggezione morale o fisica continuata di un membro della famiglia ad un altro.


Il reato si configura nell’ambito di ogni entità definibile come famiglia, di diritto o di fatto, anche a prescindere dalla convivenza.

Quindi riguarderà anche la vessazione che deriva da un ex-coniuge o ex-compagno, o da un genitore separato non convivente, o da un genitore dopo che il figlio si è allontanato dalla famiglia di origine (o anche al contrario, da un figlio ad un genitore).


Quando dunque i comportamenti vessatori all’interno di un nucleo familiare, raggiungono livelli allarmanti, pericolosi, dannosi per qualsiasi membro della famiglia, è possibile denunciare il fatto come maltrattamento.

Quindi è possibile per una mamma denunciare i maltrattamenti che subiscono i suoi figli, così come quelli che subisce in prima persona, da parte del compagno o dell’ex-compagno; è possibile per una donna, come per un uomo, denunciare il compagno/a o l’ex-compagno/a o un padre o una madre per le vessazioni che si subiscono in casa; è possibile che un genitore denunci un figlio (casi emblematici e frequenti sono quelli di denunce da parte di genitori anziani o con figli tossicodipendenti).

Non nascondiamoci dietro ad un dito: proprio perchè la vittima è in uno stato di vessazione e soggezione, a volte non riconoscibile dalla vittima stessa, uscire allo scoperto e denunciare è molto difficile. Sorge la paura di non essere creduti, di non essere considerati dall’autorità cui ci si rivolge, il timore che le reazioni della persona che infligge il maltrattamento peggiorino, si insinua la vergogna, la convinzione, in fondo, di essere causa di quei comportamenti violenti. Il tutto è reso più difficile dal rapporto di convivenza sotto uno stesso tetto.


Spesso accade realmente che non solo le Forze dell’Ordine, ma anche i Servizi Sociali ed i Centri antiviolenza, non diano sostegno adeguato.


Il messaggio che però vorrei offrire è proprio questo: una tutela esiste ed è possibile mettere in movimento una macchina che produrrà un risultato.


Oltre ed a fianco di denunce del genere, se i maltrattamenti sono compiuti nei confronti di bambini, è possibile ricorrere al Tribunale per i Minorenni.

Laddove sia un genitore a compiere abituali vessazioni contro un figlio, l’altro genitore o i parenti prossimi, possono intervenire chiedendo al Tribunale per i Minorenni la decadenza della potestà genitoriale (in caso di comportamenti molto gravi) ed il conseguente allontanamento dalla casa familiare di chi compie i maltrattamenti.


In sede di separazione personale tra i coniugi, è possibile ottenere l’affidamento esclusivo dei figli se questo risponde al loro interesse e la frequentazione con il genitore che abbia tenuto comportamenti violenti può essere interrotto o regolato con incontri protetti.


Quando i genitori non coniugati abbiano cessato la convivenza, sarà ancora il Tribunale per i Minorenni a prendere provvedimenti sull’affidamento dei bambini, in caso di richiesta di affidamento esclusivo ed a stabilire misure che limitino l’incontro o la frequentazione con un genitore.


Va ricordato, infine, soprattutto a beneficio delle donne che non lavorano, che in questi casi c’è maggior possibilità di ottenere il Patrocinio a spese dello Stato per il pagamento degli onorari legali. Infatti la Legge prevede un tetto di reddito al di sotto del quale si può beneficiare del patrocinio, ma deve intendersi il reddito familiare, cumulo di tutti i redditi presenti in famiglia. Quando si agisce, sia in sede civile che penale, nei confronti di un familiare, i redditi di questo non si cumulano con i propri, quindi una casalinga avrà diritto ad accedere al patrocinio a spese delle Stato anche se il reddito del marito o compagno supera quello stabilito.

La fase più difficile è la decisione di reagire allo stato di prostrazione psicologica cui si è soggetti: serve determinazione e coraggio e si intraprende una strada spesso dolorosa, ma gli strumenti ci sono ed un meccanismo di “guarigione” si può innescare.



questo è un post scritto da Silvia di Genitori Crescono

 
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